Penso che questo problema sia solo nostro, crediamo di essere sempre in Italia.
Te ne racconto una: nel 2000 andai al viaggio-studio organizzato dalla mia prof d'inglese al liceo, ad Oxford. Già appena scesi dall'aereo a Stansted alcuni compagni di viaggio cominciarono a lamentarsi di questo e quello, e giustamente si beccarono tutta l'ora e un quarto necessari per arrivare in città di ramanzina fatta davvero bene. Siccome io ero l'unica maggiorenne del gruppo non ho mai saputo tutti i dettagli fino in fondo, ma già alcuni giorni dopo cominciai a sentire le proteste: tutti si lamentavano che non potevano parlare italiano, che la prof era una carceriera, che non potevano incontrarsi nemmeno al college perché nessuno aveva un orario uguale all'altro, eccetera. Per non parlare che nelle famiglie veniva servito un cibo immangiabile.
A quel punto persi le staffe e risposi a chi mi stava raccontando queste cose: ma se sapevate già tutto questo, che cavolo ci siete venuti a fare qua? E dire che io mi ero lamentata con la prof che in quel periodo ad Oxford si sentiva parlare più l'italiano che l'inglese!
Sulla polemica del cibo sono stata d'accordo anch'io, ma nella famiglia dove eravamo io e colei che è poi diventata la mia grande amica Silja (islandese), non si mangiavano nemmeno cose aliene, al massimo se c'era qualcosa di strano lo lasciavamo nel piatto. Per non parlare di quei cafoni che in valigia si erano portati pasta, olio e sugo per poter mangiare all'italiana....
Noi italiani dobbiamo sempre farci riconoscere, come i giapponesi: loro con le fotocamere, noi coi nostri modi rozzi e incivili. Anzi, in Giappone hanno un detto: l'italiano si riconosce dagli abiti eleganti e dalla scia che lascia dietro di sé. E credo che dica tutto....
Dovremmo fare come in Svizzera: uno straniero che vuole la cittadinanza deve superare l'esame di educazione civica. In Italia la si studia sì e no in prima media.